Il 14 dicembre, nel primo degli appuntamenti previsti dal progetto “Frammenti dal Novecento”, docenti e studenti del triennio dell’I.I.S. Galilei di Jesi hanno potuto assistere ad un’interessante lezione on line sul tema “Genere e salute: specificità e diseguaglianze”.
La relatrice, la prof.ssa Pamela Barbadoro, professoressa associata presso il dipartimento di scienze biomediche dell’Università Politecnica delle Marche, ha rammentato il contenuto della Carta di Ottawa del 1986, secondo la quale la salute non consiste solo nell’assenza di malattie e infermità, ma in un completo stato di benessere fisico, mentale e sociale, per arrivare al quale è necessario identificare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni e modificare l’ambiente o adattarvisi. Con la Carta di Ottawa nacque la promozione alla salute, che punta ad offrire a tutti gli individui, indipendentemente dal sesso, le medesime possibilità e mezzi per realizzarsi nel campo della salute, della quale è più nota la dimensione fisica, anche se sono importanti pure quella psichica, emotiva, relazionale, spirituale e sociale. Il concetto di salute è molto dinamico e soggettivo, come si deduce ad esempio dal caso di Clint Eastwood, sostenitore dell’industria del tabacco e che, nonostante la sua bronchite cronica, continua a fumare, perché è l’unico modo che ha per fronteggiare lo stress.

Tra i fattori determinanti della salute rientra anche lo studio: chi si laurea ha sei anni di vita in più degli altri. La medicina di genere fece prendere coscienza, negli anni Ottanta del Novecento, che le donne non stavano ricevendo adeguate cure mediche rapportate alle loro caratteristiche. Dalla notte dei tempi, invece, prima la società, poi la ricerca scientifica e l’industria farmaceutica hanno preferito credere che maschi e femmine fossero uguali. Le donne dovevano avere una buona salute esclusivamente per preservare la specie umana e quindi sono state vittime della “sindrome del bikini”: si studiavano solo gli organi dell’apparato riproduttivo: seni, utero ed ovaie. Studiare gli altri aspetti non era considerato importante, in quanto contava maggiormente chi portava a casa i mezzi di sostentamento, cioè l’uomo. Quindi fino a tempi recenti la medicina ha testato nuovi farmaci, strumenti diagnostici e terapie esclusivamente su soggetti “maschi, bianchi, giovani adulti”. Fra le varie motivazioni per cui le donne sono state escluse dalle sperimentazioni rientrano i cambiamenti ormonali per il ciclo, gravidanze e menopausa, cui si uniscono i contraccettivi ormonali, che potrebbero condizionare i risultati. Nel film Yentl del 1983, tratto da un racconto di Isaac Bashevis Singer, Barbra Streisand interpretava una giovane ebrea polacca che aveva finto di essere un uomo per poter aver accesso all’educazione religiosa. Da qui il titolo dell’editoriale della cardiologa statunitense Bernardine Healy – prima donna direttore dell’US National Institutes of Health – pubblicato nel 1991 sul New England Journal Of Medicine: The Yentl syndrome, dove rivelò la differenza tra uomini e donne per i sintomi delle malattie cardiovascolari, un problema tradizionalmente considerato maschile e invece causa più probabile di morte per le donne rispetto agli uomini, specie in età più avanzata quando viene meno la protezione degli estrogeni.

Le donne vivono in media 84 anni, dunque più a lungo degli uomini (78 anni), ma in condizioni peggiori, anche perché il dosaggio medio delle medicine è tarato per individui maschi di 70 kg e questo provoca effetti collaterali sul gentil sesso, maggiormente dotato di massa grassa, dove resta gran parte dei farmaci. Le donne si ammalano di più di cancro al polmone, perché più sensibili alle sostanze cancerogene delle sigarette. Il cuore femminile batte più velocemente, con più frequenti aritmie e l’infarto, più letale per le donne, che hanno vasi più piccoli difficilmente visibili nelle coronarografie, è la prima causa di decesso femminile. Nonostante questo, l’infarto del miocardio è più studiato negli uomini che nelle donne, così come l’osteoporosi, considerata una malattia tipicamente femminile, connessa alla carenza di estrogeni in età postmenopausale, viene studiata prevalentemente nelle donne, anche se colpisce anche gli uomini e la mortalità, dopo un ricovero ospedaliero per fratture, è doppia negli uomini rispetto alle donne. Di conseguenza, ancora oggi i medicinali per l’osteoporosi, tarati sulle necessità femminili, non sono prescrivibili agli uomini. Il cervello differisce nei due sessi sia dal punto di vista strutturale che funzionale, con l’Alzheimer e la sclerosi multipla che colpiscono di più le donne, mentre gli uomini sono più soggetti al Parkinson.

Le malattie reumatiche ed autoimmuni, dove cioè il sistema immunitario distrugge erroneamente i tessuti sani, sono patologie di cui soffrono prevalentemente le donne. Gli uomini, invece, sono più soggetti a infezioni batteriche e virali, in quanto il loro sistema immunitario è meno potente rispetto a quello delle donne. Andando avanti con le differenze, a proposito dello stomaco, il suo contenuto è più acido negli uomini che nelle donne e in quello degli uomini è presente in maggior quantità l’enzima addetto alla scissione dell’alcool, il cui consumo è molto collegato alle neoplasie: infatti sono ben 7 i tipi di tumore correlati al consumo di alcolici. Nel 2018 il 25% dei casi di cancro al seno sono stati causati dal consumo giornaliero di 1-2 bicchieri di alcol; per questo si consiglia alle donne di non superare un’unità alcolica al giorno, mentre gli uomini se ne possono permettere due. È evidente quindi l’importanza dello sviluppo di una Medicina di genere, oggi considerata dall’OMS fondamentale per la promozione della salute, con il compito di realizzare programmi di prevenzione, metodologie diagnostiche e terapie su misura per uomini e donne. La “questione femminile” fu però menzionata in medicina solo nel 1991. L’Italia è stato il primo Paese a varare una legge nella sanità, il D.LGS 81/08, che contenga il termine “genere” (articoli 1, 6, 8, 28, 40), il cui Piano attuativo è partito nel 2019, mentre nel 2016, per la prima volta, si è stabilito il 22 aprile come Giornata nazionale per la salute della donna. Per il futuro dovremo quindi aspettarci medicinali e prescrizioni diverse nei due sessi per le stesse malattie.