Le donne nel Medioevo

Della prolusione dell’anno accademico 2019 – 2020 della L.U.A.J., la Libera Università per Adulti di Jesi, è stata incaricata la Prof.ssa Silvana Vecchio, docente di Antropologia Filosofica del Medioevo e del Rinascimento presso l’Università di Ferrara, che il 13 ottobre ha trattato la tematica de Le donne nel Medio Evo. L’argomento, di cui è una vera specialista, risulta quanto mai vasto, complesso ed affascinante, anche perché nel periodo molto lungo preso in considerazione – circa mille anni – le numerose tipologie femminili (monache, serve, contadine, regine ecc.) non sono rimaste cristallizzate nel tempo.

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Da sinistra a destra: l’Assesore alla Cultura Luca Butini, il professor Antonio Ramini, presidente della L.U.A.J., la prof.ssa Silvana Vecchio e la segretaria della L.U.A.J. prof.ssa Loredana Gara Mazzini

È impossibile ricostruire la vera vita delle donne medievali, perché il loro mondo  compare poco all’interno dei documenti ed abbiamo quindi dati a macchia di leopardo. Conosciamo meglio la vita delle fiorentine nel XIII – XIV secolo, di nobili e borghesi, di donne di città più che di contadine. A Firenze l’età media delle nozze si aggirava intorno ai quindici – diciotto anni, mentre i maschi si sposavano verso i trent’anni, con un divario  nella coppia di almeno dieci anni. La Chiesa  proibiva i rapporti tra coniugi:

  • tutte le domeniche e festività;
  • alla vigilia delle feste importanti;
  • durante la quaresima e l’avvento;
  • durante il ciclo;
  • durante la gravidanza;
  • dopo il parto.

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La mortalità femminile era estrema, anche per l’altissimo numero di maternità affrontate. Metà della loro vita la trascorrevano in gravidanza, ma un bambino su due non sopravviveva ai cinque anni di età. Era normale avere famiglie con 10 – 18 figli. Santa Caterina da Siena era la ventiduesima figlia, ad esempio. Le famiglie effettive però non erano numerose, data l’enorme mortalità.

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Le fonti conservate sono quasi solo maschili, perché le donne non avevano accesso alla scrittura. Si tratta di dati catastali, d’archivio, o inseriti in discorsi di politica economica o sulla vita religiosa. La situazione reale ci è quindi ignota. Si conoscono bene però i modelli di comportamento presentati dagli uomini. Sappiamo quale fosse la donna ideale, ma ignoriamo quanto trovasse corrispondenza nella realtà. Oggi può essere interessante conoscere il modello femminile medievale per rintracciarvi le radici storiche di certi fenomeni, intervenendo nel presente. Si tratta di un modello clericale,  dominante ma non unitario, perché nel Medioevo il monopolio della cultura era nelle mani degli uomini di Chiesa. Questo ci pone di fronte ad una contraddizione strutturale, in quanto sono proprio gli uomini che di fatto vivono separati dalle donne, che non hanno una famiglia a dettarne i modelli. Ma vi è pure un modello laico e cortese che propone la figura della dama e ribalta gli stereotipi sulla donna. Non è corretto però pensare ad modello laico contrapposto a quello religioso, perché in entrambi la donna vera è lontana dal reale. Il modello ecclesiastico, basato sul tipo di sessualità esercitata, definisce essenzialmente tre diverse figure, che attraversano tutta la letteratura dell’epoca:

  1. la vergine;
  2. la vedova;
  3. la maritata.

 

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Al vertice di una netta gerarchia vi è la vergine, la non sposata e soprattutto la consacrata, ossia la monaca. La single, la donna che vive da sola è molto sospetta, inquietante e condannabile: viene vista come una strega. La vedova è una figura forte e molto frequente. Le vedove di più alto livello sono coloro che non si risposano, vivono santamente e spesso si rinchiudono in convento, assimilandosi al ruolo di vergine. La donna sposata sta al livello più basso e dal XII secolo, quando si impone il modello monogamico indissolubile, diventa sempre più interessante per gli ecclesiastici, tanto che il matrimonio, da patto privato, nel XIII secolo diventa un sacramento. Dal XII secolo in poi si parla sempre più di donne sposate e a donne sposate, con prediche e trattati per le mogli.

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Nei secoli XVI, XVII e XVIII i modelli medievali vengono ripresi. Il loro nucleo è riassumibile dalla parola “custodia“. Nei testi medievali ricorre spesso il verbo “custodire”, ossia preservare, conservare, nascondere, segregare. Gli uomini devono difendere un valore che le donne non sono in grado di proteggere per la loro naturale inferiorità: la sessualità. La verginità coincide con l’onore femminile, che ha il suo corrispettivo maschile nella forza e nel vigore nel combattere. Essa costituisce un valore di scambio nel mercato matrimoniale, non solo per le famiglie nobili e borghesi, ma anche per quelle di livello più basso. Garantisce la certezza della prole, la trasmissione ereditaria dei geni. Le monache offrono questo valore in dono alla Chiesa, perché producano per Lei figli spirituali in modo simbolico, ossia pregando.  Pudicizia, verecondia, silenzio, compostezza e modestia sono virtù correlate alla verginità. La donna sposata deve evitare l’adulterio, che è la colpa più grave. Nei testi giuridici si parla però solo di adulterio femminile, mentre quello maschile non viene punito e  non crea sospetti.

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Che la donna sia naturalmente inferiore all’uomo è un dato scontato, con più di un fondamento che si rafforza nei secoli. Nella Bibbia Eva appare come un sottoprodotto dell’umanità, ottenuto da una costola di Adamo che è stato addormentato durante la delicata operazione. Per il fondatore del diritto canonico, Graziano (ca. 1075 – ca. 1145), la donna…

… deve coprirsi la testa perché non è immagine di Dio. Deve portare quel segno perché ha prodotto il peccato di Adamo.

Eva insomma si è fatta sedurre dal serpente perché è più stupida di Adamo. Le è stato detto che mangiando la mela poteva essere come Dio. Adamo poi ne assaggia anche lui per compiacere Eva. In soldoni: la femmina è inferiore e causa della corruzione derivata dal peccato originale.

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Nel XII secolo una forte conferma filosofica di questa concezione proviene da Aristotele. Nel suo trattato De anima si sancisce la netta inferiorità della donna, essere più debole dell’uomo. Ma anche in tutto il mondo animale la femmina viene considerata un sottoprodotto del maschio. Inoltre Aristotele crea il modello familiare dove il capo di casa è il marito, e la donna deve rimanervi chiusa per mantenere quello che le viene dato dall’uomo. San Tommaso d’Aquino riprese poi l’affermazione di Aristotele per il quale la donna è un mas occasionatus, ossia un maschio mancato. Si pensava che quando qualcosa si fosse inceppato nel meccanismo della creazione, ad esempio se si fosse generata troppa umidità, allora sarebbe nata una femmina. Questo modello femminile sarà destinato a durare almeno fino al Rinascimento.

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Che significava avere marito? Obbedirgli in tutto, dipendere completamente dalla sua volontà. Emblematica, da questo punto di vista, l’ultima novella del Decameron di Boccaccio, dedicata a Griselda, umilissima guardiana di pecore divenuta sposa di Gualtieri, marchese di Saluzzo.

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Il marchese di Saluzzo sposa Griselda, di Charles West Cope

Dopo la nascita della prima figlia,

….entratogli un nuovo pensier nell’animo, cioè di volere con lunga esperienzia e con cose intollerabili provare la pazienzia di lei…

Gualtieri la sottopone senza pietà a prove crudelissime per testarne l’obbedienza. Per questo:

  • le riferisce false critiche maldicenti del popolo legate alla sua bassa estrazione sociale;
  • le fa sottrarre la figlia da un parente, dicendo che la piccola sarebbe stata uccisa;
  • anche con il secondogenito, un maschietto, si ripete la storia di cui sopra, ma entrambi i figli in realtà vengono allevati altrove;
  • le annuncia di aver domandato la dispensa papale per potersi risposare con una donna socialmente adeguata al proprio rango;
  • la rispedisce a casa con tutta la dote;
  • le ordina però di tornare quando è necessario organizzare i preparativi per le sue nuove nozze, e le presenta la figlia, ormai dodicenne, come sua futura sposa.

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Charles West Cope, Prima prova della pazienza di Griselda

Come abbia fatto la poverina a non morire di crepacuore non so… Sta di fatto che alla fine della novella Gualtieri, di fronte alla completa sottomissione della moglie, le rivela che aveva solo voluto testarne virtù e fedeltà, e le promette che tutta la famiglia, d’ora in avanti, sarebbe vissuta unita e felice.

Il controllo della sessualità avveniva pure durante il matrimonio, abbiamo già detto. I teologi inventarono un ossimoro, la castità matrimoniale, che consiste in un uso del sesso solo nell’ambito del matrimonio e solo per metà dell’anno, dati i numerosi divieti. In tanti testi, ad esempio di Bernardino da Siena, si trovano critiche alla pericolosa vanità delle donne che indossano gioielli e vesti sontuosissime per uscire, mentre in casa si presentano molto sciatte. Questo, secondo loro, apriva le porte all’adulterio. La stessa Bibbia ricorda che le donne, uscendo di casa, possono essere aggredite e violentate. Ne conseguono la vendetta dei fratelli e poi le guerre. Insomma, il fuori era il luogo del pericolo e del peccato, mentre la casa rappresentava lo spazio della sottomissione e delle attività femminili.

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Nella seconda parte della conferenza sono state analizzati due casi di donne eccellenti che per qualche aspetto non sono riconducibili ai modelli medievali. Sono eccezioni che confermano le regole e fanno pensare ad un Medioevo diverso. Le donne che hanno lasciato tracce dirette della loro esistenza sono pochissime e lo fanno grazie alla loro cultura, al fatto che hanno accesso alla scrittura. Spesso sono avvolte nel mistero e non è certa neanche la loro esistenza. Ad esempio, di Trotula de Ruggiero, medichessa italiana attiva nell’XI secolo nell’ambito della scuola medica salernitana. Il suo De passionibus mulierum ante in e post partum avrebbe segnato la nascita dell’ostetricia e della ginecologia.

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Trotula al centro di questa immagine tratta dal Codex Vindobonensis 93

Sono poi state messe in dubbio le opere di alcune studiose, ad esempio quelle di Eloisa, nipote di un canonico di Notre Dame, bellissima e coltissima. Le donne, insomma fanno fatica ad essere accettate, perché viste come eretiche e borderline. Fino a pochi anni fa dai manuali di storia della filosofia medievale erano assenti le figure femminili, poi Michela Pereira, già professoressa all’Università di Siena, vi ha introdotto Ildegarda di Bingen (1098 – 1179), scrittrice, musicista, filosofa e naturalista tedesca, autrice di due trattati enciclopedici che riuniscono tutto il sapere medico e botanico del tempo. Nel 2012 papa Benedetto XVI ha nominato la santa dottore della Chiesa.

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Ildegarda mentre riceve una visione e la detta al suo segretario

 

Tra le figure più amate dalla Professoressa Silvana Vecchio vi è la parigina  Eloisa, vissuta nel XII secolo. Già celebre per la sua erudizione prima di conoscere il trentasettenne bretone Abelardo,  suo insegnante di logica, con cui coabitava a casa dello zio, ne divenne l’amante e rimase incinta.

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Abelardo ed Eloisa in un’opera di Edmund Blair Leighton (1882)

 

Abelardo allora la rapì, portandola a casa della sorella, in Bretagna, dove partorì il figlio Astrolabio. Abelardo desiderava sposarla, ma in segreto, in quanto lui era un chierico. Lei all’inizio è contraria alle nozze, perché vorrebbe che lui si dedicasse solo alla filosofia, giustificandosi in questi termini:

Cosa hanno in comune le lezioni dei maestri con le serve, gli scrittoi con le culle, i libri e le tavolette con i mestoli, le penne con i fusi? Come può chi medita testi sacri e filosofici sopportare il pianto dei bambini, le ninne-nanne delle nutrici, la folla numerosa dei servi?

Divenuta la loro storia di dominio pubblico, lo zio di Eloisa fece evirare Abelardo, che abbandonò la carriera accademica ed entrò nell’Abbazia di Saint Denis, obbligando Eloisa a rinchiudersi nel monastero di Argenteuil. Anche da monaca, Eloisa continuò a considerarsi una moglie. I due ex amanti si ritrovarono nel loro epistolario, un testo straordinario dove Eloisa afferma di aver obbedito ad Abelardo per un estremo atto di amore nei suoi confronti, amore che non si è ancora spento nel chiuso del convento. Eloisa inoltre rifiutò interamente il suo ruolo, pur se era diventata una stimata e operosa badessa, considerata una santa. Dichiarò di essere un’ipocrita, che sarebbe finita all’Inferno, perché era diventata una monaca solo per volere di Abelardo.

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Abelardo ed Eloisa in una miniatura del XIV secolo

 

La seconda figura presentata dalla professoressa Vecchio è stata una laica, Christine de Pizan (Venezia 1365 – Monastero di Poissy 1430 ca.), figlia di Tommaso Pisani, medico – astrologo alla corte di Carlo V, scrittrice e poetessa francese di origini italiane. Christine attraversò vari modelli: fu laica, sposa felice di un nobile, madre di tre figli e vedova appena venticinquenne. Non si risposò più, rimanendo con i suoi figli e l’anziana madre.

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Christine de Pizan mentre educa un figlio.

 

Nella sua poesia Seulete sui ribadisce la sua condizione di desolata solitudine (a parte il marito, aveva perso anche il padre e Carlo V, protettore della famiglia), ma fa una scelta controcorrente. Vive scrivendo e copiando manoscritti nello scriptorium di cui era a capo. In polemica contro la tradizione antifemminista, presente in opere come il De mulieribus claris di Boccaccio e Le Roman de la Rose di Jean de Meung, si chiede perché gli uomini parlino male dell’altro sesso. Dopo una fase di depressione, arriva all’autocoscienza e alla rivendicazione del ruolo delle donne, la cui condizione di inferiorità è il risultato dell’esclusione dagli studi, in cui pure risulterebbero eccellenti, se vi potessero avere accesso. Per ribattere ai detrattori del gentil sesso, Christine scrive in volgare francese un libro bellissimo, La città delle Dame (1405), in cui immagina l’esistenza di una città fortificata, sorta sotto la guida della Ragione, della Rettitudine e della Giustizia. La abitano solo donne virtuose, reali e mitologiche: sante, martiri, eroine, guerriere, poetesse, indovine, regine, scienziate ed inventrici.

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A proposito del fatto che le donne piangano, considerato come un indizio di debolezza, Christine invece sottolinea che è una manifestazione di empatia, quindi di superiorità rispetto agli uomini. Considerata come una protofemminista, vissuta in un periodo in cui molto era cambiato, Christine rappresenta il ribaltamento di molti stereotipi diffusi dai chierici, in cui la donna è stata relegata per tanto tempo.

Alla base dei femminicidi di oggi c’è una concezione della donna che ha residui di quel modello, ma che non è eredità totale del Medioevo. 

Questa la conclusione a cui è giunta la relatrice.

 

 

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